Frustrazione e Aggressività

Lo conosciamo bene
Un pugno al fratellino appena nato, una spinta alla sorella o amica che ha preso il suo giocattolo, il lancio di oggetti in aria: l’aggressività verbale o fisica dei nostri figli è uno dei comportamenti che più ci preoccupa come genitori. Ma da dove nasce? E cosa significa per il loro futuro?
Tutti noi vogliamo crescere bambini che comprendano i codici di comportamento sociale, che sappiano controllare le proprie emozioni ed esprimerle in modo sano. Ma come si arriva a questo? Cosa possiamo fare per assicurarci che i nostri figli superino questa fase in modo benefico? E come possiamo aiutarli a portare con sé queste capacità fondamentali nella vita adulta, senza pagare il prezzo dell’insicurezza, del bisogno di compiacere gli altri o delle rinunce ai propri bisogni?

Parliamo di aggressività
L’aggressività può manifestarsi in modi molto diversi a due, cinque, otto anni o durante l’adolescenza. L’abbiamo visto tutti, in un modo o nell’altro: colpi, spintoni, rapimenti di giocattoli, morsi, cadute a terra, urla. In età più avanzata, anche parolacce, parole sprezzanti, impazienza, cinismo, insulti, porte sbattute. Riconosci tuo figlio qui? Questo tipo di comportamento può scatenare una reazione in noi, portandoci a comportamenti aggressivi: impazienza, alzare la voce. Questo accade principalmente quando i nostri bisogni sono in carenza, che si tratti di fame, stanchezza, riposo (specialmente nei primi anni), ma anche di significato, rispetto, reciprocità e sicurezza nella genitorialità. Naturalmente, il bambino ha bisogno che noi regoliamo la sua aggressività, ma può essere molto difficile esserci per lui quando noi stessi siamo sotto pressione. Quello che inizia a volte con i toni più gentili e con la promessa a noi stessi che la serata finirà bene, finisce in un modo completamente diverso da quello che avevamo in mente.

La conoscenza è potere, la comprensione ci dà forza. Quello che ho trovato particolarmente utile è capire il meccanismo che c’è dietro l’aggressività. Ne sono venuta a conoscenza dieci anni fa ed fu una vera rivelazione. Rimasi scioccata dal fatto che questa conoscenza non fosse ancora ampiamente diffusa. Sapevo che doveva arrivare a ogni genitore, educatore, e persona. Da allora, la esploro da prospettive sempre nuove e, ogni volta che credo di averla compresa appieno, emergono nuovi strati da scoprire. Sarebbe anche perché il nostro percorso genitoriale non ha mai una vera fine: i nostri figli continuano a cambiare, e noi cambiamo con loro, adattandoci e rinnovando continuamente le nostre prospettive

 

Vorrei sottolineare che la conoscenza teorica è preziosa, ma richiede una pratica costante, oltre a molta pazienza e compassione verso noi stessi. Gli studi sul cervello sono relativamente recenti (circa 40 anni) e non sempre riescono a tenere il passo con il contesto in cui viviamo oggi. Sono certamente lontani dal modo in cui siamo cresciuti e verso cui tendono le nostre reazioni automatiche. Prendete con calma ciò che leggerete qui, lasciate che sedimenti, e sentitevi liberi di contattarmi per qualsiasi dubbio o domanda.

Che cos’è l’aggressività?
L’aggressività si manifesta quando qualcosa non funziona, e non per far funzionare qualcosa. È un’esplosione di energia che nasce dalla frustrazione. Quindi:
Aggressività = frustrazione (molti genitori mi raccontano che scrivono questa frase su un biglietto e lo posizionano in punti strategici in casa, in auto o sul telefono – vale la pena provare).

L’aggressività non ha nulla a che fare con un bambino che non conosce i limiti o che li sta mettendo alla prova. Non significa nemmeno che non lui non ci rispetta, né implica che crescerà egoista o privo di empatia. È fondamentale neutralizzare queste storie che ci raccontiamo, perché ci intrappolano in un circolo vizioso che ci impedisce di aiutare il bambino a regolarsi. Anzi, spesso rischiano di peggiorare la situazione.

Ci viene richiesto di prenderci una pausa dai nostri pensieri automatici. Dobbiamo neutralizzare l’interpretazione immediata che il nostro cervello dà agli eventi, basata sull’esperienza passata. Queste interpretazioni non riflettono la realtà attuale e generano emozioni in noi che rendono difficile rispondere come vorremmo.

La frustrazione: incapacità di cambiare la realtà
– Dentro di me (voglio uscire con una maglietta corta in un giorno freddo)
– Negli altri (voglio che mamma/papà resti accanto a me e non vada in ufficio)
– Nella realtà (l’acqua è bagnata (eh si),  non sono stato accettato nella squadra o nel lavoro che volevo)

Il nostro bambino affronta molte frustrazioni nei suoi primi anni di vita. Durante la giornata si trova spesso di fronte a una realtà che non ha scelto e che non può cambiare. Inoltre, i bambini vivono un processo di apprendimento accelerato, che aumenta le frustrazioni, poiché non c’è apprendimento senza errori lungo il cammino.
La frustrazione che si forma nel sistema emotivo è un processo emozionale, non comportamentale: il bambino si comporta in modo aggressivo perché è frustrato, non per ottenere qualcosa. Ecco perché quando cerchiamo di controllare l’aggressività attraverso la conseguenza – sanzioni, punizioni, premi – semplicemente non funziona. È infatti il punto debole degli attuali approcci comportamentali che conosciamo. Questo è il grande potere di un approccio evolutivo che osserva in profondità, tenendo conto di processi nascosti che avvengono nel nostro bambino.

Qual è la causa principale della frustrazione?
La separazione, in tutte le sue forme. La nostra vita è piena di separazioni – da un caro amico, dalla scuola o dal lavoro, dalla nostra vecchia casa. Ci separiamo al mattino quando usciamo per lavorare o per andare a scuola e ci separiamo di nuovo la sera. Tra l’altro, anche il co-sleeping implica una separazione: il bambino chiude gli occhi e si sente solo, dal suo punto di vista è separato. Quindi, la nostra vita è piena di separazioni, fino all’addio definitivo, la morte di qualcuno a noi caro.
Non vogliamo impedire che il bambino venga separato, ma vogliamo aiutarlo a superare queste separazioni nel modo migliore. Offrire le condizioni e gli strumenti per affrontare le separazioni in qualsiasi momento.

Siamo esseri sociali per natura. Siamo orientati verso l’altro, è un nostro istinto di sopravvivenza. Quindi la più grande minaccia per il cervello umano è la separazione.
La separazione rappresenta una minaccia alla connessione con figure significative della nostra vita. Durante la giornata, il nostro bambino può incontrare una varietà di situazioni frustranti, ma se noi siamo accanto a lui, si sentirà sicuro. Imparerà a gestire la frustrazione e a trasformarla in resilienza e crescita.

Ecco dove entra in gioco il modello che ha cambiato la mia vita e quella di tanti altri genitori:

il Circolo della Frustrazione – Dott. Gordon Neufeld
Il dottor Gordon Neufeld lo paragona ad una rotonda stradale: la frustrazione entra e cerca un’uscita. Questo è un punto critico di enorme importanza: l’emozione è energia, e deve uscire dal sistema. La frustrazione sempre cercherà un modo per uscire. È così che il nostro cervello è costruito: per rafforzarsi e crescere attraverso gli incontri con la frustrazione, cioè con una realtà che non possiamo cambiare. Così funziona la vita.

Il problema è che nella nostra società ci sono troppi adulti che non sono mai realmente maturati. Da piccoli ci dicevano di non piangere, che le emozioni erano una debolezza, che bisognava essere positivi e non fare un dramma per ogni cosa. Tutto questo invece di insegnarci a vivere attraverso le emozioni nei momenti difficili, che è l’unica strada per maturare e superare.

Qual è il risultato? Una discussione su un parcheggio che degenera, qualcuno che non riesce a superare un licenziamento o un divorzio, un’amica che per anni fatica a perdonare un’offesa, un cuore spezzato o una promozione negata.
La frustrazione deve uscire dal sistema, in un modo o nell’altro. E se non trova il modo? Abbiamo un problema. Diventiamo adulti iperprotettivi, indifferenti. Più protetti dal dolore, certo, ma anche bloccati nel provare gioia, entusiasmo, piacere o emozioni intense.

È naturale che ci sia difficile sentire emozioni spiacevoli. È altrettanto difficile vedere le persone a noi care nel dolore, nella frustrazione o nella tristezza. Desideriamo soltanto che stiano bene, che siano felici. Ma la vita non funziona così, e nemmeno il cervello. Non si possono spegnere le emozioni spiacevoli senza staccare l’interruttore anche su quelle piacevoli. E senza la capacità di provare mancanza, nostalgia, tristezza, non possiamo neppure conoscere l’entusiasmo autentico, il piacere, la gioia. Restiamo bloccati nel vivere al pieno del nostro potenziale umano.
Vogliamo che i nostri figli siano sicuri, ma non solo: vogliamo che fioriscano e prosperino al massimo del loro potenziale.
Vediamo cosa possiamo fare per aiutarli ad avanzare attraverso emozioni difficili verso la resilienza e la crescita.

Nel momento in cui la frustrazione entra nel sistema emotivo, ci sono tre uscite possibile:

  1. Cambiamento della realtà: change.
    Il bambino cercherà di cambiare la realtà: piangendo, negoziando, promettendo, con un’espressione dolce, una capricciosa, con rabbia. Proverà e riproverà, e alla fine – questa volta ci riuscirà. Noi sceglieremo di dargli ancora più schermo o un altro biscotto, e questa è un’opzione assolutamente legittima. Se risponde ai nostri bisogni, non c’è da averne paura. Non confonde il bambino riguardo ai limiti, e certamente non mina la nostra autorità.
    *Per inciso, ciò che davvero mina l’autorità è un genitore che risponde con aggressività, tornando a comportarsi come un bambino di sei anni di fronte al suo figlio, e questo accade a tutti noi, ma ovviamente quell׳atteggiamento non è regolazione, non è controllo, non è autorità.
    Se quindi il bambino ottiene quello che vuole, la realtà cambia, non c’è più frustrazione nel sistema emotivo – ottimo! Il problema si risolve.

Ma cosa succede se questa volta decidiamo che il limite è rigido, o che la realtà non permette flessibilità? Che non c’è più schermo né biscotto?

  1. La realtà non cambia: Aggressività.
    La frustrazione rimarrà nel sistema e passerà alla seconda uscita del ciclo di movimento: l’attacco.
    Diciamo che abbiamo detto al bambino: “Non c’è più tv, né oggi né domani, e ora vai nella tua stanza!”. Abbiamo appena aggiunto frustrazione alla frustrazione. Il bambino ora è frustrato dalla realtà che non può cambiare (schermo/biscotto perduto), e a questo si aggiunge la disconnessione relazionale con noi, la separazione. Il nostro cervello primitivo porta il bambino in uno stato difensivo senza capire che qui non c’è davvero un leone nella giungla e nessuna minaccia alla sopravvivenza.

    Cosa non fare?
    In questa situazione possiamo essere trascinati dall’aggressività del bambino. Ricordate la storia che ci gira nella mente, con giudizi e interpretazioni? Adesso è il momento di ricordarci che questa non è la realtà attuale. È solo una storia alla quale il nostro cervello corre automaticamente. In realtà, quando il nostro bambino entra in uno stato di aggressività, il suo sistema emotivo è sovraccarico e lui è totalmente indisponibile ad ascoltarci in quel momento. Neufeld lo descrive attraverso scansioni cerebrali come se tutta la parte del cervello pensante cognitivo fosse completamente disattivata, con zero attività elettrica.Al punto che, se questa parte venisse momentaneamente disattivata, non noteremmo nemmeno la differenza dal punto di vista funzionale! Ecco quanto sbagliavamo nel dare spazio al cervello cognitivo a scapito del cervello emotivo.
    Non c’è cognizione senza emozione. I processi di apprendimento e tutte le funzioni superiori come la risoluzione dei problemi, il team work, la capacità di differire le gratificazioni, ecc., iniziano prima di tutto nel sistema limbico, il nostro centro emozionale nel cervello. E quindi – niente sermoni al bambino, niente ripetizioni delle regole, ramanzina, accuse, giudizi: “Avevamo un accordo”, “Però mi hai promesso!”, “Succede sempre lo stesso con te”, “Perché mi fai sempre questo?” ecc. – Stiamo parlando con noi stessi in questo momento, possiamo evitarlo.

Cosa fare invece?
Cerchiamo l’uscita più rapida dalla situazione, con il minimo danno per l’attaccamento. Perché? Perché dall’attaccamento arriverà poi tutto: i limiti, i valori, l’autorità. Ma non accadrà ora. Questo è il momento in cui io consiglio ai genitori – uscire dalla stanza, accendere uno schermo, dare un biscotto, respirare profondamente, ascoltare una canzone. Qualsiasi cosa aiuti a calmarsi in questo momento e a evitare l’esplosione. L’educazione sarà per dopo, l’educazione viene dall’attaccamento, sempre. Lo so, è esattamente l’opposto di tutto ciò con cui siamo cresciuti. E anche di quello che ci viene predicato intorno. Ma che bello essere qui per fare le cose diversamente. Vediamo insieme cosa significa.

  1. La realtà non cambia, quello che cambia è il bambino: adattamento.
    La terza opzione per far uscire la frustrazione dal sistema emotiva è quella per cui siamo qui. Invece di essere distaccati dal bambino, faremo esattamente la stessa azione: spegniamo lo schermo, niente biscotto, ma questa volta lo faremo con connessione, non con coercizione.
    Diremo qualcosa come:
    Genitore: “Mi dispiace amore, non ci sono più biscotti per oggi”.
    Bambino: “Ma io voglio! L’ultimo per oggi!”
    Genitore: “Lo so, è così buono, ti piacciono tantissimo”.
    Bambino: “Allora si può??”
    Genitore: “No, tesoro mio, mi dispiace tanto, uff che peccato״.

    Il bambino piangerà, griderà, sarà aggressivo, ma! Se noi saremo lì con lui, presenti nella sua frustrazione, se daremo spazio a queste emozioni senza cercare di risolvergli la situazione o distogliere la sua attenzione, né ci allontaneremo creando una separazione dell’attaccamento – allora  succederà qualcosa di straordinario nel cervello. Il cervello proverà di nuovo e di nuovo a cambiare la realtà e si imbatte in un vicolo cieco, simile a dare gas in folle. Dopo alcuni minuti in questa situazione, raggiungerà un punto magico situato nell’amigdala, il centro emozionale nel cervello, chiamato punto di mancanza di utilità (Point of Futility) ovvero punto di resa. Ora il cervello capisce che è finita, non c’è più speranza di cambiare la realtà, la realtà non cambierà. Il cervello sarà costretto a cambiare da sé.
    Così, e solo così, avviene un vero adattamento. Così costruiamo resilienza emotiva per tutta la vita. Cosa succede in questo punto? Arriva oro puro, lacrime di tristezza. Il bambino passerà da un pianto furioso, con guance rosse, ecc., a un pianto di singhiozzo, rassegnato di tristezza profonda, quasi di lutto, sulla realtà che non può accettare. Il suo linguaggio del corpo si ammorbidisce, sarà più pronto a ricevere conforto da noi, un abbraccio, un tocco. E ora sarà anche disponibile per altre soluzioni (“Allora possiamo avere uno yogurt invece?” \ Possiamo giocare oggi un po’ durante il bagno?”).
    Ovviamente la nostra vita deve continuare, non sempre abbiamo la possibilità e il tempo per tutto questo, ed è ok. L’obiettivo non è di farlo sempre, non ogni volta. Due o tre volte a settimana, a partire dai due anni in poi, vorremmo dare al bambino l’opportunità di affrontare la realtà che non può cambiare, in condizioni sicure con noi e con il nostro supporto. Adattarsi attraverso la realtà che non possiamo cambiare.
    Questo mi porta all’ultima parte. Non posso davvero concludere senza parlare di tristezza e pianto, uno degli ambiti in cui mi sono concentrata negli ultimi anni.


Tristezza
Si scopre che la tristezza è l’emozione più importante che abbiamo nel sistema emotivo nel cervello, l’unica in grado di innescare una trasformazione profonda e consentire il cambiamento. Il segnale di punto di resa viene registrato nel sistema limbico > lui invia un segnale alle ghiandole lacrimali > i nostri occhi iniziano a lacrimare. È così che si costruisce la resilienza umana: il cervello registra che ha affrontato e superato il dolore, e che supererà anche la prossima difficoltà.

Quando il nostro bambino nasce, solo il 25% del suo cervello è sviluppato, un dato davvero sorprendente che ho appreso dal Dr. Gordon Neufeld. Questo accade perché il bambino dovrà affrontare molte situazioni di punto di resa in futuro. Ha bisogno di un campo di allenamento sicuro, di un ambiente che non abbia paura della sua tristezza, che non cerchi di sottrargli le difficoltà, che comprenda l’importanza di uno spazio sicuro per le emozioni. Il nostro compito è creare le condizioni adatte per questo: Permettere (persino invitare) alle sue lacrime di fluire e alle emozioni di emergere, senza timore.


Concludo qui, anche se ci sarebbe molto altro da approfondire su questo tema: sulla vulnerabilità e sulla sua assenza nella nostra società, sul prezzo che paghiamo per questo. Sul cuore corazzato del bambino che dobbiamo ammorbidire (conoscete il classico “E a me cosa importa?” – ecco, questa è una corazza che dovremo sciogliere), sull’integrazione e sulle emozioni miste che vogliamo invitare. Ci arriveremo più avanti.

In sintesi:

  •  Cambiamo attraverso ciò che non possiamo cambiare.
  • Vogliamo aiutare il nostro bambino a raggiungere le sue lacrime, ad arrivare al suo punto di resa.
  • Il pianto e le lacrime sono un segno di trasformazione umana. Non sono il problema, anzi! Sono il segno che il dolore è alle nostre spalle, o, come mi disse una volta mio figlio: “Il pianto è la medicina”.

Spero di essere riuscita a trasmettere quanto sia rivoluzionario questo materiale e quanto puoi fare, come genitore, per aiutare tuo figlio a prosperare.

Non esitare a contattarmi per qualsiasi domanda o commento, mi piacerebbe molto conoscere la tua opinione.
*Ricordi l’emoji nella chat dopo aver letto. Grazie 🙏

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